Intervista a Don Fabrizio
Don Fabrizio, un prete “d’alta quota”
Scritto da Patrizio Ferraglio il 10 agosto 2011 e pubblicato in Collio.
È soffice don Fabrizio. Soffice il suo abbraccio, soffice il suo corpo (90 e rotti chili di morbidezza), soffice la sua barba incolta, soffice il suo saluto, avvolgente e coinvolgente, soffice il suo studiolo, un caos calmo, rigoroso nel suo disordine…
Ti circonda, don Fabrizio, di un cosmico batuffolo di bambagia. È soffice anche il suo pensiero, ma qui la cosa diventa molto, molto più complicata perché, pur non essendo candidato al Nobel per la filosofia, don Fabrizio divaga in meandri logici e speculativi nei quali facilmente ti perdi. Almeno io.
D’altra parte come spiegare e raccontare una persona che è riuscita e riesce a sostenere l’insostenibile leggerezza dell’essere? Ci si prova; malamente, imperfettamente ma ci proviamo.
E poi perché don Fabrizio? Perché don Fabrizio è la cucina più amata da… un bordello di gente. Cucina dell’anima e dello spirito, ovviamente.
Cerchiamo quindi di raccontarlo.
Nasce a Pezzaze l’11 ottobre del 1960. È un gemello, nel senso che ha anche un fratello gemello e spesso i due vengono scambiati, tanto sono uguali. Come segno zodiacale è un bilancia. Dopo le scuole lavora nell’officina Franzini per un anno e poi alla Bottega di Incisioni di Cesare Giovanelli.
Dopodiché, nel Marzo del 1980, sceglie di fare l’anno di naja. Sceglie, perché avrebbe potuto evitare il servizio militare per motivi di studio (era già in fase ‘vocazionale’ e sapeva che sarebbe entrato in seminario) ma decide di partire, negli alpini, armiere caporalmaggiore a Merano. “La naja mi ha fatto bene – dice il don – È stato uno dei periodi più belli della mia vita”.
In realtà, scorrendo gli appunti dell’intervista, nei vari momenti della sua vita, trovo accanto scritto ‘uno dei più belli’, per cui l’impressione è che don Fabri sia uno che nella vita ha saputo e sa adattarsi alle situazioni cogliendone tutti gli elementi gratificanti, creativi e costruttivi. E forse il segreto sta nel suo approccio alla vita “Amo scegliere l’insicurezza” spiega tra una filosofata e una riflessione morale.
Nel 1988 diviene sacerdote e la prima parrocchia è Bienno. “Sono stati 11 anni bellissimi, forse i più belli della mia vita (!)” La casa di Bienno era sempre aperta; tant’è che il don quando rientrava non sapeva chi vi avrebbe trovato. In pratica si era creata una piccola comunità nella quale confluivano anche persone con problemi di adattamento sociale. Dopo Bienno è arrivato a Gardone Val Trompia. Dicono di lui alcuni gardonesi “È sempre aperto a nuove iniziative”; “È persona semplice e divertente”; “È un prete anticonformista”; “È un trascinatore, vicino alla gente e quando faceva la predica scendeva tra i banchi”; “È sempre stato vicino ai più deboli”; “È dentro la Chiesa ma oltre le convenzioni umane”.
Nel 2004 viene trasferito a Collio. Qui lo incontriamo nella spugnosa ombra della sera, tra i monti dell’Alta Val Trompia. Don Fabrizio vive con la mamma Merile (71 anni) e il babbo Gesuino (78 anni su una sedia a rotelle) e il fratello Renato. La famiglia ha sempre seguito don Fabrizio nei suoi spostamenti.
Una confidenza: tutto quanto scritto finora è servito solamente a procrastinare il momento più difficile: dare conto delle idee, dei sentimenti, dello strato morale ed etico di questo prete che, chissà perché, strappa il cuore ai suoi parrocchiani.
Perché hai scelto di diventare sacerdote?
“Mi mancava un tassello per vivere con gioia la mia vita. La crescita come uomo implica delle scelte. Nota che a me piace immensamente la famiglia. Mi sarebbe piaciuto crearmi una famiglia ma ho scelto di divenire ‘uomo di Dio’. Uomo di Dio sempre e in qualsiasi situazione. Mi costruisco come uomo e, come sacerdote sono uomo di Dio. In ogni caso sono comunque uomo e quando parlo con una persona prima è una persona, con i suoi difetti e i suoi pregi, con i suoi problemi e le sue gioie, poi dimostrerà il suo spessore di cattolico. La scelta di farmi sacerdote mi ha dato e mi da moltissima gioia”.
Vi è stata una persona che ti ha aiutato e stimolato nelle tua scelta?
“Don Mario Piccinelli, ai tempi parroco di Pezzaze. Mi ha insegnato a vedere e a capire che comunque c’è vita sul nostro pianeta e fare il prete è il vivere quotidiano nel mondo”.
Quali sono i maggiori problemi che incontri come sacerdote?
“La maturazione nella fede. Bisogna rinnovarsi. È una preoccupazione generale. Nello scorrere dei tempi non cambiano i contenuti del messaggio della Chiesa ma cambiano le modalità. Bisogna mettere insieme le teste per crescere insieme e per concretizzare l’obbiettivo comune che è vivere e diffondere la Buona Novella. Abbiamo innanzitutto bisogno di buone persone e poi di buoni Cristiani. Il primo fine, avere buone persone, è lo stesso della politica, solamente che oggi la politica persegue questo obbiettivo con persone che hanno fini diversi e, quindi, i mezzi utilizzati sono inadeguati. È necessario capire ed essere coscienti che esiste un bene comune”.
C’è qualche cosa che rimproveri alla Chiesa?
“Personalmente vorrei una Chiesa più combattiva, più coraggiosa nelle proprie scelte. Ritengo bisognerebbe assecondare in maniera semplice e chiara il percorso per recuperare le proprie radici cristiane, per rivendicare la propria fede e le proprie tradizioni religiose. D’altra parte il messaggio evangelico deve produrre disordine, conflitto, instabilità”.
Che differenza hai notato tra la parrocchia di Gardone e quella di Collio?
“Qui siamo in montagna e la gente è più granitica e individualista. A Gardone sono più abituati a fare quadrato e a collaborare. Qui a Collio, oltre ad avere una popolazione che diviene sempre più anziana, la gente è abituata a risolversi i problemi da sola”.
Come vedi il rapporto con altre religioni?
“Nessuna religione vuole il disfacimento dell’uomo. Possiamo crescere tutti, basta che vi sia il rispetto reciproco”.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
“Andare in missione. Già lo scorso anno avrei dovuto andare in Venezuela, poi mio papà ha avuto un ictus e quindi sono rimasto”.
La tua giornata tipo?
“Alle 7 sveglia e preghiera. Dalle 8 alle 9 colazione al bar e relativa informazione sulle vicende del paese. Poi comincia la mia giornata che mi vede costantemente sul territorio. Difficilmente mi trovi a casa. Intorno alla 1 vado a letto”.
Dopo la morte?
“Ho voglia di vedere in faccia Gesù, vederlo che mi viene incontro e mi dice ‘Ciao Fabrizio, bentornato”.